Dall’attacco dell’esercito russo all’Ucraina di fine febbraio il mondo intero si è ritrovato ad assistere ad una guerra di occupazione che, per la prima volta, si sta svolgendo su due piani d’azione: il primo, militare e strategico, sta avvenendo sul suolo ucraino; mentre il secondo, comunicativo e digitale, si sta svolgendo sulle principali piattaforme social (principalmente Twitter, ma anche su Instagram, TikTok e Telegram).

A dominare questi luoghi fisici e virtuali sono due personaggi politici: il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky e il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Il primo con un passato da attore e comico divenuto vincitore delle elezioni presidenziali 2019 (a grande sorpresa con il 73% dei voti a favore), il secondo con un curriculum da ex funzionario del KGB russo, nonché ex militare, da oltre vent’anni a comando dell’ex potenza sovietica.

Sebbene attraverso queste poche righe siamo già in grado di notare una profonda differenza tra i due leader politici, analizzandoli sul piano comunicativo, attraverso le strategie adottate nelle ultime settimane, possiamo individuare ulteriori analogie e differenze. 

Ciò che differenzia la comunicazione dalla propaganda è che la prima ha l’obiettivo di creare opinioni, mentre la seconda punta a rafforzare certezze. In un piano propagandistico, infatti, non c’è spazio per il dubbio dato che il fine è di ottenere adesione alla propria parte, fabbricare consensi. Mentre in un piano comunicativo l’obiettivo è proprio di creare spazi di confronto attraverso il mescolarsi delle opinioni. 

Per questo motivo ciò che accomuna i due leader è la volontà di mostrarsi dalla parte della ragione attraverso l’individuazione e la rappresentazione di un nemico senza scrupoli: da una parte abbiamo le mire espansionistiche di Putin che minano la libertà e l’indipendenza dell’Ucraina, dall’altra abbiamo un Paese completamente “nazificato”, spalleggiato dall’Occidente e dalla Nato, che da anni sta alimentando la cosiddetta “russofobia”.

Un altro punto di contatto tra i due leader è la narrazione dell’uomo forte (molto sentita tra i Paesi dell’ex blocco sovietico) fatta attraverso l’autoproclamazione a eroe a servizio della verità e dei più deboli, dipingendosi come l’unico in grado di poter salvare la Nazione.

A differenziare i due attori in scena è la strategia di comunicazione in parte scelta e in parte subita. Visivamente stiamo parlando della figura dell’aggressore interpretata da Vladimir Putin, contro la figura dell’aggredito interpretata da Volodymyr Zelensky.

Benché si possa pensare che a trarne vantaggio sia soltanto il secondo, anche il primo ci riesce.  Putin infatti, attraverso una comunicazione istituzionale, distaccata ma in grado di infondere stima e sicurezza, sceglie di dipingersi come un salvatore, colui che agisce per liberare un popolo vicino e storicamente amico. Il tutto viene incorniciato da un abbigliamento formale, un’inquadratura distante e rispettosa e un’ambientazione autorevole (la sala stampa del Cremlino o il suo storico ufficio). 

Zelensky invece sceglie l’immagine detta dell’“underdog”, il Davide contro Golia, la vittima delle atrocità che però reagisce, si fa combattente ed eroe per guidare la resistenza del suo popolo. La strategia comunicativa, in questo caso, si sposta sulla sfera emotiva ed empatica dipinta con un abbigliamento informale che porta i colori militari, un’inquadratura amatoriale (per lo più video selfie) e un’ambientazione “sul campo”, quasi sempre diversa, e per questo sconosciuta. 

Per la prima volta queste strategie di comunicazione bellica trovano spazio fertile sui social network, in particolare su Twitter, nominato il principale canale di dialogo e narrazione del conflitto. Si sa che ad oggi la maggior parte delle persone ottiene le notizie dalle diverse piattaforme social e, nonostante la disinformazione dilagante, in molti casi essi rappresentano il modo più veloce per diffondere le storie “dal basso”.

Anche in questo caso i due attori politici utilizzano il nuovo campo di battaglia in maniera differente. Vladimir Putin predilige i discorsi solenni registrati dalla sala stampa del Cremlino, mostrandosi tranquillo ed estremamente pacato, anche per non far trasparire nulla di una guerra che, a suo dire, non è nemmeno in corso. Invece Volodymyr Zelensky, sfruttando le sue capacità recitative, si fa spazio tra l’ampio pubblico dei social network con una comunicazione spontanea, a tratti sarcastica, che non ha tempo di spettacolarizzazione o drammatizzazione. Deve essere breve, esaustiva, senza giri di parole. 

In particolare Zelensky mette in pratica tre codici: 

  • Bene vs male. Come si potrebbe svolgere in un film d’azione, l’individuazione di un nemico comune crea una forza d’unione e un senso di appartenenza che spinge a combattere insieme; 
  • Noi come voi. Durante i suoi discorsi con le altre nazioni occidentali, Zelensky si fa aiutare dalla storia riportando alla mente dell’ascoltatore eventi molto simili a ciò che sta accadendo in Ucraina (il muro di Berlino, Pearl Harbor ecc.). Questa dinamica crea vicinanza non soltanto politica, ma anche emotiva; 
  • Noi per voi. Zelensky descrive l’attacco come il primo di molti altri, come l’antitesi di un conflitto ben più grande. La resistenza dell’Ucraina è dunque da vedere come un atto eroico, un sacrificio per fermare l’avanzata russa verso Berlino, l’ultimo baluardo per l’intero Occidente. 

Dal canto suo Putin rimarca la sua avversità verso i social network occidentali prediligendo piattaforme russe come Telegram e VKontakte (è ben nota la volontà del Cremlino di uscire dalla rete internet globale, il World Wide Web, in favore di RuNet, la rete di comunicazione digitale statale) concentrando quindi le proprie forze su una propaganda più rivolta all’interno che verso l’estero. 

L’analisi finora eseguita ci porta a sostenere con certezza che Zelensky e Putin sono due figure politiche che conoscono il loro pubblico e sono più che capaci di arringarlo. Entrambe le due strategie comunicative adottate sembrano funzionare e, giorno dopo giorno, fabbricano consensi portando il pubblico a schierarsi a favore dell’uno o dell’altro. E in un momento in cui parlare nelle piazze vere e proprie è rischioso, i social network diventano perfetti luoghi di aggregazione da cui esprimere le proprie idee.

Ma tutto ciò a che prezzo? Le parole e le immagini pubblicate da Zelensky e Putin, e da tutte le figure coinvolte che peso possono avere nel conflitto? Nonostante sia una guerra non convenzionale, anche in questo conflitto la prima vittima è stata la verità. Essa è venuta a mancare sia nei racconti volutamente parziali dalla parte ucraina, sia nelle negazioni sistematiche sopraggiunte dalla parte russa.

Quindi dove sta la verità?

Come sempre, la si trova nel mezzo. La verità la si trova nella pluralità di informazione, aiutata anche dai molteplici strumenti tecnologici di cui disponiamo. La verità la si trova sforzandosi di ascoltare acriticamente entrambe le campane, anche e soprattutto attraverso le testimonianze dirette di chi è sul campo. La verità la si trova sviluppando un pensiero critico, grande assente in un dibattito pubblico sempre più polarizzato.

"La guerra è esercizio del dubbio, ma ci sono dei fatti che sono incontrovertibili, ed escono dalla voce delle uniche persone che possono dire la verità: i testimoni di questa guerra."

Francesca Mannocchi – corrispondente dall’Ucraina

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