Perché il rebrand di Tropicana ha fatto scuola?

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Rispolverare vecchi casi di design sbagliato può sembrare un modo di infierire ulteriormente su errori già noti ai più, sopratutto se questo viene fatto a distanza di quasi 15 anni, ma è altrettanto vero che resta un esercizio utile per imparare dagli errori (altrui) e capire cosa sia effettivamente un buon design.

Per questo motivo abbiamo scelto di inaugurare questa nuova rubrica del nostro blog con il caso Tropicana, uno dei più iconici, significativi e disastrosi casi di packaging design della storia recente.

Ma andiamo con ordine.

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Long story short

Tropicana è un brand che affonda le sue radici nella storia stessa degli Stati Uniti ed è noto al pubblico perlopiù per il suo succo di frutta all’arancia, il più venduto nel Nordamerica.

All’alba del 2009, quando gli USA affrontavano gli effetti della crisi delle banche e i grandi colossi ripensavano ai loro modelli di comunicazione in chiave moderna e tecnologica, i consumatori americani scoprivano, attraverso una campagna pubblicitaria stimata intorno ai 35 milioni di dollari, che il loro succo di frutta preferito aveva essenzialmente cambiato tutto.

Di questo cambiamento era stato incaricato lo studio Arnell, autore del rebrand Pepsi di qualche anno prima che già aveva sollevato non pochi malumori, ma veniva ancora tenuto in considerazione dalla casa madre Pepsico.

A pochi giorni dal lancio iniziarono a piovere le critiche, soprattutto via social media, uno strumento nuovo per l’epoca e che ancora si faticava a comprendere, sia per funzionamento che per impatto mediatico.

Al coro di protesta via social non tardarono ad unirsi i principali competitor di succhi di frutta (come Minutes Maid) che, al motto di “non sprecare mai una crisi altrui” si lanciarono a capofitto in campagne ficcanti incentrate sugli errori di Tropicana e sulla conseguente perdita di appeal tra i consumatori.

Sì perché in soli due mesi questo disastroso rebrand si trasformò in una perdita sulle vendite di circa 30 milioni di dollari nel mercato nordamericano, facendo perdere al Brand la leadership del settore e portandolo, dopo appena sei settimane, ad un clamoroso quanto inevitabile dietrofront.

“Abbiamo pensato che sarebbe stato importante prendere questo marchio e portarlo o evolverlo ad uno stato più attuale e moderno.” -  Peter Arnell, Founder di Arnell Group

Ricetta per un disastro

Come detto il nuovo packaging veniva lanciato con una campagna dedicata, che non solo si prefiggeva di far assimilare al consumatore il cambiamento, ma era volta a lanciare un nuovo messaggio più diretto e potenzialmente efficace. Veniva così inaugurato lo “Squeeze” (letteralmente spremere) che voleva sostenere l’idea che il succo fosse spremuto direttamente dal frutto e quindi naturale al 100%.

Questo nuovo messaggio era supportato da alcune scelte, anche interessanti, riguardanti il packaging. Ne è esempio il tappo che, nella nuova confezione, diventava esso stesso un’arancia, proprio a stimolare l’idea che alla sua apertura si stesse spremendo il frutto all’interno del brick.

Purtroppo per loro non fu l’unico.

Il nuovo pack abbandonava la classica immagine di un’arancia forata da una cannuccia, da anni simbolo del Brand, in favore di un bicchiere di succo che, seppur pieno, non richiamava affatto la naturalezza dell’arancia.

Oltre all’immagine venne modificato anche il logo, che di norma è già di per sé un grosso cambiamento, con l’inserimento di un nuovo font molto più leggibile e lineare, una scelta in sintonia col momento storico ma che snaturò (è proprio il caso di dirlo) la Brand Identity aziendale.

Il nuovo logo venne poi inserito sul packaging verticalmente e spostato nella parte destra, questo per dare più spazio al claim di prodotto “100% Orange” che da solo voleva sostenere la genuinità del succo, dimenticando la regola che ciò che viene detto, se non è sostenuto dai fatti (in questo caso un’immagine corretta), non è quasi mai percepito come veritiero.

Infine, e non meno importante, il cambiamento cromatico. Quando si parla di scelta a scaffale di cibo e bevande l’occhio vuole sempre la sua parte e la scomparsa del tipico arancione predominante in favore di un giallo aranciato più tenue fece sì che si percepisse l’intero packaging come qualcosa asettico, quasi farmaceutico, cioè niente di più lontano da ciò che il Brand trasmetteva ai propri clienti affezionati.

“Storicamente, mostriamo sempre l'esterno dell'arancia. La cosa affascinante era che non avevamo mai mostrato il prodotto chiamato succo.” -  Peter Arnell, Founder di Arnell Group

Gli errori commessi

A questo punto gli errori commessi, presi singolarmente, sono abbastanza evidenti ma restano opinabili. Per ogni designer sperimentare è necessario per poter migliorare perché è da queste scelte che poi nascono le grandi innovazioni.

E infatti il primo grosso errore non stava nelle varie singole operazioni ma nell’averle fatte tutte assieme!

Cambiando “tutto e subito” si stava dicendo al mondo che c’era una rivoluzione in atto, e questo non fece altro che spaesare quei clienti fidelizzati che si sentirono traditi e delusi; perché la gente non vuole succhi di frutta moderni, vuole quello che per anni è stato il suo succo di frutta per la colazione, e questo concetto non conosce differenze di età, sesso o estrazione sociale.

Dimenticarsi del proprio pubblico di riferimento è un errore che non dovrebbe fare un Brand leader nel proprio settore che risiede nei cuori di così tanti consumatori. Esso non può permettersi di cambiare tanto per cambiare sulla scia della moda o dell’emotività perché, soprattutto nel marketing, non tutto è soggetto a mode.

Stravolgere la propria Brand Identity può scatenare uno tsunami che una volta iniziato non può essere fermato e si trascinerà dietro parecchi danni collaterali (nel migliore dei casi).

“Emotivamente è ancora molto, molto difficile, e rimane ancora difficile, per tutti cogliere l'importanza di un cambiamento quando è così drastico.” -  Peter Arnell, Founder di Arnell Group

Cosa impariamo da tutto questo?

Ragionare col senno di poi è un esercizio piuttosto semplice, a maggior ragione se il caso è veramente eclatante come questo, ma a volte serve per trarre delle conclusioni valide anche a distanza di anni.

1. Quando si inizia un rebrand bisogna sempre analizzare e identificare gli elementi cardine del marchio in ottica di mantenerli e valorizzarli, qualora non si possa fare altrimenti. Questo perché sono ciò che lega il Brand al consumatore… a volte molto più del prodotto stesso.

2. La riconoscibilità a scaffale è cruciale al momento della vendita, cioè nell’istante in cui si sta veicolando l’ultimo messaggio possibile al consumatore: perché è pur sempre vero che non si giudica un libro dalla copertina, ma è ciò che indirettamente facciamo quando siamo tra le corsie del supermercato.

3. Il cliente ha sempre ragione e a lui non si può implicare l’inefficienza di una comunicazione errata, drastica o inefficace. Il consumatore finale deve essere capito e accompagnato, deve sentirsi sicuro della propria scelta a scaffale e non deve avere dubbi su cosa stia comprando, a maggior ragione se si tratta di un acquisto che ha fatto per anni.

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In conclusione... Back to pack!

Il caso Tropicana ci mostra tutta la forza impattante che il packaging design può avere su un prodotto, e lo attesta come uno strumento potente per qualsiasi tipo di business, non solo quello rivolto al consumatore.

Questo caso studio dimostra anche che tutti, anche i migliori, possono sbagliare, ma l’importante è saperlo riconoscere, tornando anche sui propri passi per ridurre al minimo i danni.

Dopo l’inizio disastroso del 2009, Tropicana è tornata ad usare il vecchio packaging e nel giro di pochi mesi ha riconquistato la leadership nel settore succhi di frutta nordamericano, riacquistando il valore perso in quelle sciagurate settimane e venendo venduta, a distanza di dieci anni, per la cifra record di 3,3 mld di dollari.

Non male per quello che poteva essere un disastro annunciato.

E tu? Sei pronto a creare o rinnovare il tuo pack senza fare errori?

Ti è piaciuto? Parlane con tutti!

Continuiamo il discorso